Il saluto di Papa Leone XIV ai partecipanti al concerto con i poveri, tenutosi nell'Aula Paolo VI il 6 dicembre 2025, offre una nuova e significativa finestra sullo stile del Pontefice. Ancora una volta, dalle sue parole emerge quell'impronta che ormai contraddistingue il suo magistero: una comunicazione che non si colloca dentro gli schemi tradizionali mediatici, ma che li scansa con naturalezza, non per ricercare originalità, bensì per ritornare all'essenziale. È uno stile che potremmo definire "della spogliazione": un modo di parlare e di porsi che toglie ornamenti, categorie, sovrastrutture, e torna al nocciolo della fede, alla semplicità del Vangelo.
Papa Leone XIV si sottrae infatti alle etichette con cui spesso il mondo tenta di classificare i pontefici: "teologo", "missionario", "riformatore", "pastorale", "sociale". Etichette rassicuranti, perché offrono cornici interpretative; ma limitanti, perché riducono la complessità della figura di Pietro a una sola dimensione. Il Papa, invece, non ne accetta nessuna. Non perché si senta al di sopra delle categorie, ma perché ritiene che nessuna di esse sia davvero necessaria: Pietro non è un genere, una tipologia, una funzione; Pietro è una persona, chiamata ad essere roccia non per un titolo, ma per una responsabilità. In questo senso – come tu stesso sottolinei – Leone XIV è "semplicemente, e mi si permetta umanamente, Pietro".
Il concerto con i poveri, giunto alla sua sesta edizione e fortemente legato all'eredità di Papa Francesco, diventa così anche nel suo pontificato un laboratorio ecclesiale, una parabola visibile del suo modo di guidare la Chiesa. Il Papa non sale sul palco come protagonista, ma come fratello; non appare come figura istituzionale, ma come compagno di cammino; non "presiede", ma "partecipa". Il ringraziamento iniziale rivolto a Michael Bublé e a Serena Autieri non è un gesto formale: è un modo di riconoscere che la bellezza è un dono ricevuto e un servizio offerto. Quando dice: "Michael Bublé, your Italian is wonderful, thank you so much!", non c'è alcuna distanza diplomatica, ma una spontaneità che rompe il rituale, quasi a ricordare che ogni incontro nasce prima di tutto da un sorriso.
Nelle sue parole la musica non appare come un elemento estetico, un intrattenimento o un ornamento culturale, ma come un "ponte che ci conduce a Dio". Tale immagine non è nuova nella tradizione cristiana; ma qui acquista un colore particolare: la musica eleva non perché ci fugge dai problemi, non perché ci anestetizza, ma perché ricorda a ciascuno la propria dignità. È un messaggio profondamente pastorale, ma al tempo stesso teologico nella sua essenzialità: l'essere umano è più della somma dei suoi fallimenti; la povertà non definisce la persona; la sofferenza non cancella la figliolanza divina.
Leone XIV dimostra, ancora una volta, di avere una chiara opzione preferenziale per i poveri, che però non esprime mai come un discorso politico o sociologico: egli la vive come un movimento interiore della Chiesa verso il proprio cuore. Non dice "la Chiesa aiuta i poveri", ma tratta i poveri come "fratelli e sorelle" la cui presenza è un dono da accogliere. Questo rovesciamento è tipico del suo magistero: la carità non è filantropia, ma reciprocità; non è beneficenza, ma incontro. E questa reciprocità si esprime perfettamente nella liturgia della bellezza che è la musica condivisa.
Molto significativo è il riferimento ai canti del Natale e al "grande concerto di angeli" che accompagna la nascita di Gesù. Il Papa non si limita a evocare un'immagine poetica: egli pone una connessione precisa, quasi sacramentale, tra la musica che risuona nei cieli di Betlemme e quella che risuona nell'Aula Paolo VI. Gli angeli, sottolinea con finezza, non appaiono ai potenti ma ai pastori; non ai sicuri ma a chi veglia nella notte. È una chiave di lettura pastorale che riflette il suo stile spirituale: Dio sceglie sempre chi non ha nulla da offrire se non la propria vigilanza, la propria fame, il proprio bisogno.
Nella parte finale del discorso emerge una dimensione tipica di Leone XIV: l'appello a un cristianesimo vigilante, non distratto, non appesantito. In un mondo che rischia continuamente l'indifferenza, il Papa invita a "cuori svegli", capaci di ascoltare il "canto d'amore" di Dio. Ancora una volta, il linguaggio è semplice ma densissimo: Gesù non è presentato come un concetto, ma come un canto; non come una dottrina, ma come una melodia che può essere imparata e vissuta. È una metafora pastorale che gli permette di unire catechesi, annuncio e poesia in un'unica immagine.
Ciò che colpisce, in tutto il discorso, è la totale assenza di protagonismo. Papa Leone XIV non parla mai di sé, non allude ai grandi scenari geopolitici, non pronuncia diagnosi sociali complesse: parla della Chiesa, del cuore umano, della musica, del Natale. Non aggiunge pesi, non sovraccarica, non costruisce narrazioni su di sé: toglie, riduce, spoglia. È il "Papa della spogliazione", non nel senso ascetico o spettacolare del termine, ma perché riconduce ogni cosa all'essenziale.
In questo modo restituisce alla figura del Successore di Pietro un tratto profondamente umano: Pietro non era un intellettuale raffinato né un leader carismatico; era un uomo che sbagliava, amava, cadeva e si rialzava, e proprio per questo era affidabile. Leone XIV sembra voler recuperare questa dimensione: il Papa non è un ruolo, ma una vocazione che si esercita con umiltà.
Il concerto con i poveri, allora, non è stato solo un evento musicale: è stato un'icona del suo pontificato. Un luogo dove la Chiesa si mostra come casa, dove i poveri non sono ospiti ma protagonisti, e dove la bellezza diventa linguaggio comune. In un tempo in cui i media cercano continuamente di definire, categorizzare, incasellare, Papa Leone XIV risponde con la semplicità di chi non cerca definizioni, perché si lascia definire solo dal Vangelo.
Il suo messaggio finale, "Grazie a tutti! Dio vi benedica. Buon cammino di Avvento e buon Natale!", non è semplicemente un saluto: è un invito a camminare, ad alzarsi, a lasciarsi accompagnare. È l'eco di un pastore che vuole essere vicino, senza clamore, senza titoli, senza pose.
Semplicemente Pietro.
Marco Baratto
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