Negli ultimi mesi si è assistito a un crescendo di polemiche che, più che chiarire o informare, sembrano mirare a un vero e proprio gioco al massacro mediatico contro il Papa e contro la Chiesa cattolica nel suo insieme. Presunti sacerdoti, giornalisti noti e opinionisti militanti alimentano un clima di sospetto permanente, riproponendo schemi già visti durante il pontificato di Papa Francesco. Oggi il bersaglio è Papa Leone XIV, ieri era Francesco, domani sarà chiunque osi sottrarsi alla logica dello scontro ideologico.
Il meccanismo è ormai riconoscibile. Si prende un dettaglio marginale, lo si isola dal contesto, lo si carica di significati simbolici e lo si trasforma in scandalo. Quest'anno, in modo quasi grottesco, l'oggetto del contendere è diventato il presepe. Giornalisti e commentatori hanno rispolverato una polemica surreale sulla presenza dei Re Magi prima dell'Epifania, come se si trattasse di una deviazione dottrinale o di una provocazione teologica. In realtà, chiunque abbia una minima familiarità con la tradizione cristiana sa che da sempre, nelle chiese e nelle case, i Magi compaiono nel presepe ben prima del 6 gennaio. È una consuetudine popolare, catechetica, simbolica, che non ha mai scandalizzato nessuno.
Trasformare questa prassi antica in un caso mediatico significa costruire un romanzo di fantascienza, non fare informazione. Significa soprattutto usare la tradizione come pretesto per colpire l'autorità ecclesiale, insinuando l'idea di una Chiesa confusa, incoerente o addirittura infedele a se stessa. È una strategia che non nasce dal nulla. La stessa dinamica è stata applicata per anni contro Papa Francesco: ogni parola estrapolata, ogni gesto deformato, ogni silenzio interpretato come colpa.
In questo contesto, il riferimento costante agli Stati Uniti non è casuale. Una parte del cattolicesimo americano vive da tempo una tensione profonda con Roma, alimentata da think tank, media e gruppi di pressione che leggono la fede in chiave politica.
Da lì partono narrazioni che attraversano l'Atlantico e trovano eco anche in Italia, dove alcuni commentatori sembrano più interessati a importare conflitti che a custodire l'unità ecclesiale. Il risultato è un clima avvelenato, in cui ogni atto del Papa viene letto come una mossa strategica, ogni scelta come un tradimento.
È necessario, allora, ristabilire alcuni punti fermi. Papa Benedetto XVI si è dimesso liberamente. Papa Francesco è stato legittimamente eletto da un Conclave valido e riconosciuto dalla Chiesa universale. Allo stesso modo, ogni Papa eletto secondo le norme canoniche è legittimo, al di là delle simpatie personali o delle preferenze ideologiche. Mettere in discussione questo principio significa minare le fondamenta stesse della comunione ecclesiale.
Non è un caso che, di fronte alle pressioni mediatiche e alle continue indiscrezioni, che Papa Leone XIV abbia ribadito con chiarezza il valore del segreto del Conclave. "Sul Conclave, io credo assolutamente nel segreto del Conclave": parole nette, che suonano come una risposta diretta a chi vorrebbe trasformare un momento spirituale e sacramentale in una fiction politica. Il segreto non è opacità, ma tutela della libertà; non è complotto, ma spazio di discernimento.
Il vero obiettivo di queste campagne appare sempre più chiaro: delegittimare la Chiesa dall'interno, presentarla come divisa, sospetta, incapace di parlare con una sola voce. Non si tratta di critica costruttiva, che è sempre legittima e spesso necessaria, ma di una sistematica erosione dell'autorevolezza ecclesiale. Quando ogni gesto diventa scandalo e ogni tradizione diventa problema, ciò che si vuole colpire non è il presepe o il Papa di turno, ma l'idea stessa di una Chiesa che possa ancora essere segno di unità.
Per questo è tempo di chiarezza. Difendere la legittimità del Papa e la continuità della tradizione non significa chiudere gli occhi davanti alle difficoltà, ma rifiutare la logica del sospetto permanente. Il presepe, con i suoi Magi in cammino, continua a raccontare una fede che non ha paura del tempo né delle polemiche. Forse è proprio questo che dà fastidio: una Chiesa che, nonostante tutto, continua a camminare.
Marco Baratto
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