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Il Papa che ha scelto il silenzio: quando non pregare un è un rispetto “per autenticità” non “per conformità”


La visita di Papa Leone XIV alla Moschea Sultan Ahmed, nel contesto del viaggio apostolico in Turchia e in Libano, rappresenta un momento ricco di significati e di letture possibili, non solo in termini di diplomazia religiosa, ma anche di identità cristiana e di gestione dei rapporti interreligiosi in una fase storica caratterizzata da tensioni e incomprensioni. Il Papa, secondo quanto comunicato dalla Sala Stampa della Santa Sede, ha vissuto la visita "in silenzio, in spirito di raccoglimento e in ascolto", evitando la preghiera esplicita nel luogo sacro islamico. È un gesto che potrebbe sembrare minore, ma in realtà possiede una densità simbolica enorme.

Prima di tutto, occorre collocare l'episodio nel più ampio contesto della tradizione recente dei pontificati. Giovanni Paolo II nel 2001 visitò la moschea degli Omayyadi a Damasco e vi compì un momento di preghiera silenziosa; Benedetto XVI, durante il suo viaggio in Turchia nel 2006, si inginocchiò in silenzio nella stessa Moschea Blu; Papa Francesco, nel 2014, fece altrettanto. In tutti questi casi si trattò di gesti interpretati come momenti di rispetto e di dialogo interreligioso, e furono ampiamente ripresi dai media: immagini di intesa, di fratellanza, di pace spirituale attraverso la preghiera condivisa.

Papa Leone XIV, però, sceglie diversamente. Non si inginocchia, non prega, non compie un gesto liturgico. Non imita i predecessori. La sua scelta non è casuale né superficiale; è profondamente coerente con il suo messaggio pubblico e con le dichiarazioni rilasciate appena il giorno precedente, nelle quali ha parlato della necessità di respingere ogni fanatismo e di promuovere una fraternità universale tra i popoli e le religioni. La sua decisione, anzitutto, testimonia un rispetto differente: non un rispetto "per conformità", ma un rispetto "per autenticità".

Infatti, il cardinale Giacomo Biffi ricordava che il rispetto non consiste nel dichiarare che tutte le religioni sono uguali, ma nel dialogare riconoscendo il bene e la spiritualità altrui senza rinunciare alla propria identità. Leone XIV applica precisamente questo principio: entra nella moschea come ospite, ossequia le regole del luogo togliendosi le scarpe, mantenendo un atteggiamento di silenzio meditativo, ma non prega perché la sua preghiera cristiana, lì, assumerebbe un significato ambiguo o strumentalizzabile. Proprio questo è il punto: la sincerità della preghiera.

La preghiera, per un Papa, non è semplicemente un gesto estetico o diplomatico. È un atto teologico. È invocazione a Cristo Redentore, alla Trinità; è un atto di fede incarnata, non un esercizio teatrale. Pregare nella moschea potrebbe essere interpretato come un riconoscimento di equivalenza fra le fedi; oppure potrebbe essere strumentalizzato da frange estreme — musulmane e cristiane — come prova di sottomissione, relativismo o sincretismo. Leone XIV rifiuta di prestarsi a questa teatralizzazione.

Quando il muezzin Asgin Tunca gli dice che può pregare se lo desidera, e lui risponde "no, osserverò in giro", il gesto è eloquente: dice "sono qui per ascoltare, non per imporre; sono qui per rispettare, non per esibire; sono qui come uomo di fede, non come protagonista di un rito mediatico". È una scelta disarmante nella sua semplicità, ma fortemente controcorrente.

Molti cristiani si sono scandalizzati — come il testo menziona — proprio perché avevano interiorizzato l'idea che pregare in moschea fosse il segno massimo di apertura e di fraternità. 

Leone XIV, invece, introduce un livello più maturo di comprensione del dialogo interreligioso. Non è necessario condividere gli stessi gesti liturgici; non serve mimetizzarsi. Il vero dialogo non consiste nel fare finta che le differenze non esistano, ma nel accoglierle e rispettarle. Nessuno chiederebbe a un musulmano di pregare davanti al Santissimo Sacramento in un tabernacolo consacrato; sarebbe comprensibile e rispettabile che egli declinasse. Allo stesso modo, Leone XIV non si appropria del luogo sacro islamico per compiere un gesto cristiano fuori contesto.

La sua decisione va inoltre letta in relazione al tema della comunicazione pubblica. Egli sa che oggi viviamo in una civiltà dell'immagine, in cui il gesto — soprattutto quello simbolico — viene immediatamente tradotto in propaganda da una parte o dall'altra. 

La preghiera in moschea, oggi, sarebbe diventata una fotografia virale, un campo di battaglia, un terreno di manipolazione. Leone XIV comprende che il suo ruolo non è quello di alimentare questo mercato dei simboli, ma di sottrarsi ad esso quando necessario.

Il suo silenzio è quindi una forma di parola più alta. Non pregare non significa non rispettare; al contrario, significa riconoscere che un gesto sacro non deve essere banalizzato, non deve essere fatto per compiacere il pubblico o i gruppi di pressione. Non pregare è una dichiarazione di purezza intenzionale: "non trasformo la mia fede in spettacolo".

C'è poi una dimensione interna al cattolicesimo: Leone XIV vuole evitare che i cattolici estremisti lo accusino di sincretismo o di relativismo, ma nello stesso tempo evita che i musulmani estremisti vedano nella sua preghiera un'invasione sacrale. Cammina su una linea sottile ma solida. Non rinuncia alla sua identità cristiana, ma la esprime non attraverso la performance, bensì attraverso la sua presenza dignitosa, ascoltante, discreta.

In definitiva, la scelta di Papa Leone XIV non è un gesto di debolezza o di indifferenza religiosa, ma un atto di intelligenza spirituale e diplomatica. È un invito a riscoprire il rispetto autentico, che non richiede gesti plateali, e la fede autentica, che non necessita di essere esibita per essere vera. È un appello a un dialogo in cui nessuno deve fingere di essere altro da ciò che è: un cristiano resta cristiano, un musulmano resta musulmano, e proprio nell'incontro vero tra queste identità può nascere la pace.

Leone XIV, con la sua scelta, non ha pregato con i gesti, ma ha pregato con l'atteggiamento. La sua preghiera non si è svolta nel rito visibile, ma nel rispetto invisibile. E questo, forse, è il modo più profondo di riconoscere la sacralità di un luogo e la dignità di una fede diversa dalla propria.

Per assurdo e paradossale che possa essere ed apparire, Papa Leone XIV ha dimostrato ai fedeli mussulmani che non hanno nulla da temere da lui o dalla Chiesa Cattolica.  Forse chi non ha una sufficiente conoscenza del mondo mussulmano , fa fatica a capire questo passaggio.  Una persona che non dimostra di essere uomo o donna di fede non è degno di riconoscenza. Una capo di un'altra fede religiosa (come succedeva in passato compreso Benedetto XVI  molto amato in certi ambienti reazionari ) che compie solo un atto esterno non è degno di rispetto. 

Per assurdo che possa essere per un occidentale , Papa Leone oggi si è conquistato la fiducia del mondo mussulmano dimostrando di essere uomo integro di fede. 

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