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La kenosi del Papato: Leone XIV e la Chiesa della comunione



Marco Baratto

Il pontificato di Papa Leone XIV, come appare con sempre maggiore chiarezza, si distingue per una profonda tensione spirituale verso l'essenzialità evangelica e la comunione ecclesiale. L'omelia pronunciata in occasione del Giubileo delle équipe sinodali e degli organismi di partecipazione, il 26 ottobre 2025, nella Basilica di San Pietro, ne è una testimonianza eloquente. L'intero discorso, intessuto di riferimenti alla Scrittura e ai Padri della Chiesa, ruota attorno a un asse centrale: la Chiesa come mistero di comunione, generata dall'amore di Dio e chiamata a esprimere questo amore nella reciprocità, nell'ascolto, nel servizio. In tal senso, il passaggio in cui Leone afferma che "la regola suprema nella Chiesa è l'amore: nessuno è chiamato a comandare, tutti sono chiamati a servire; nessuno deve imporre le proprie idee, tutti dobbiamo reciprocamente ascoltarci; nessuno è escluso, tutti siamo chiamati a partecipare; nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente cercarla, e cercarla insieme", non è soltanto una dichiarazione pastorale, ma una vera chiave di lettura del suo ministero petrino.

Papa Leone non parla dall'alto di una cattedra, ma dal cuore di una Chiesa che vuole essere popolo di Dio in cammino, non piramide di potere. Egli continua così la linea di spoliazione spirituale già intravista in Francesco, ma la porta ancora oltre, verso una sorta di kenosi ecclesiale, un disarmo interiore del Papato per far risplendere la comunione. Il Papa non si pone come centro accentratore, bensì come icona di unità nella povertà e nell'ascolto, consapevole che il suo compito è far emergere la Chiesa, non sé stesso. È un Papa che rinuncia a definire, a dominare, a prescrivere; preferisce accompagnare, ascoltare, discernere. La sua parola non costruisce muri dottrinali ma apre spazi di dialogo e di fraternità.

In questo orizzonte si comprende il suo modo di intendere la sinodalità. Non come semplice metodo di governo, ma come forma stessa della Chiesa. Camminare insieme — syn-hodos — diventa lo stile del credente e della comunità. È in questo cammino condiviso che la Chiesa ritrova il suo volto, liberandosi dalle zavorre dell'autoreferenzialità e delle logiche di potere. Per Leone, il Sinodo non è un'assemblea di esperti o di delegati, ma l'icona viva di un popolo che si lascia guidare dallo Spirito Santo, nella certezza che la verità non si possiede, ma si scopre insieme, in un ascolto reciproco e umile.

La figura del Papa che emerge è dunque quella di un servitore dell'unità più che di un depositario dell'autorità. Non un "Papa teologo" come Benedetto XVI, né un "Papa missionario" come Giovanni Paolo II o Francesco, ma un Papa della comunione, che sembra voler scomparire perché emerga la Chiesa tutta, corpo vivo e plurale. In lui si avverte un tratto quasi monastico: una spiritualità della discrezione, della sottrazione, del silenzio operoso. Leone XIV non vuole essere il protagonista della storia ecclesiale, ma lo strumento attraverso cui la Chiesa si ricompone nella sua unità interiore. È una forma di umiltà che diventa profezia, perché testimonia concretamente che il potere nel cristianesimo si traduce in servizio, e l'autorità in amore.

Questa prospettiva di spoliazione ha conseguenze ecumeniche profonde. Mentre Francesco aveva aperto cammini di dialogo con le diverse confessioni cristiane, Leone ne rilancia lo spirito in una direzione meno diplomatica e più esistenziale. Non si tratta tanto di costruire accordi teologici, quanto di condividere uno stile evangelico comune. Ed è in questo contesto che si può comprendere la sua maggiore vicinanza alla Chiesa d'Inghilterra rispetto al mondo ortodosso.

Con l'anglicanesimo, infatti, Leone XIV trova interlocutori sensibili a una visione ecclesiologica più fluida e relazionale. Il processo sinodale che egli promuove nella Chiesa cattolica trova risonanze nella tradizione sinodale anglicana, capace di tenere insieme diversità teologiche e comunione. Entrambe le comunità, pur nelle differenze dottrinali, si riconoscono nella fatica del discernimento comune, nella ricerca di un equilibrio tra autorità e partecipazione, tra tradizione e riforma. In questo terreno condiviso, Leone intravede la possibilità di una fraternità reale, fondata non sull'uniformità ma sulla convergenza spirituale.

Diverso è il discorso con l'Oriente ortodosso. Se sotto il pontificato di Francesco i rapporti con Bartolomeo di Costantinopoli avevano conosciuto momenti di intensa vicinanza — basti pensare alle preghiere comuni per il creato e ai segni di fraternità —, negli ultimi anni si è assistito a un irrigidimento interno al mondo ortodosso.

Il Patriarcato Ecumenico , di fronte alla frammentazione e ai conflitti, ha accentuato la sua centralità ed altri patriarcati hanno rimarcato il loro stretto legame statuale . Hanno attuato o nell'ecumene ortodossa o in quella nazionale un  "papismo ortodosso". Che ha rimarcato o gli aspetti nazionali o una nuova dimensione di "superiorità" di Costantinopoli 

In questa dinamica, Leone XIV appare quasi in controtendenza: mentre l'Oriente accentua l'autorità per preservare l'unità, lui sceglie di perdere autorità per creare comunione. È un gesto paradossale, ma profondamente evangelico.

Proprio questa scelta di povertà ecclesiale rende il suo pontificato un segno dei tempi. Egli sembra dire che l'unità dei cristiani non nascerà da accordi teologici o da strutture istituzionali, ma da una conversione comune al Vangelo dell'umiltà. Solo quando tutte le Chiese, ciascuna nel proprio cammino, accetteranno di "spogliarsi" — di prestigio, di rivendicazioni, di potere — allora potranno riconoscersi reciprocamente come membra di un unico corpo. Leone XIV, con la sua predicazione e il suo stile sobrio, prepara questa unità spirituale che precede ogni unità visibile.

Nel suo magistero non vi è alcuna fuga nel sentimentalismo o nella vaghezza. La sua insistenza sull'amore come regola suprema non è moralismo, ma teologia incarnata: l'amore è la forma della verità. Per questo egli invita la Chiesa a non essere trionfante come il fariseo del Vangelo, ma umile come il pubblicano; a non giudicare, ma ad accogliere; a non chiudersi, ma ad ascoltare. 

Proprio la dimensione dell'ascolto è una caratteristica di Leone XIV . Egli ha accolto e ascoltato Padre Martin , esponete di una visione più aperta della Chiesa con l'anima più tradizionale del Card Burke . Papa Leone è l'immagine di una Chiesa inginocchiata davanti all'umanità, non per sottomettersi al mondo, ma per lavargli i piedi.

La forza di Papa Leone sta proprio in questa debolezza scelta. Egli spoglia il Papato delle armature del potere per restituirgli la trasparenza del servizio. E così, paradossalmente, ne accresce l'autorevolezza morale. Non parla come un sovrano, ma come un fratello che cammina accanto. La sua voce, quieta ma ferma, sembra dire a tutta la cristianità: l'unità non è il frutto di un progetto umano, ma il dono dello Spirito che si riceve solo nell'umiltà.

Se questo stile verrà compreso e accolto, potremmo davvero assistere a nuove aperture nel dialogo ecumenico, soprattutto con quelle comunità che condividono l'esperienza di una Chiesa sinodale, partecipativa, e meno istituzionalizzata. Con gli ortodossi, il cammino appare oggi più arduo; ma forse, proprio la coerenza di Leone nel rifiutare ogni forma di "papismo cattolico", finirà col diventare, a lungo termine, un ponte inatteso anche verso l'Oriente.

In definitiva, Papa Leone XIV non è un Papa di conquiste, ma di conversioni. Il suo progetto non mira a espandere la Chiesa, ma a purificarla, affinché in essa risplenda l'unico volto che conta: quello di Cristo servo. E in questo volto, riflesso nella sua umiltà, tutte le Chiese potranno un giorno riconoscersi sorelle.

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